sabato 28 giugno 2008

lunedì 23 giugno 2008

Mercanti di liquore!

I Festa Nazionale ANPI

Matrimonio

Abbazia di Chiaravalle della Colomba

martedì 17 giugno 2008

Sfera

lunedì 16 giugno 2008

"Il canto peregrino"

Concerto dell'Accademia Viscontea, godibilissimo.

lunedì 9 giugno 2008

Elogio della «civera»

"...buttano le cose che bastava riparare, chissà perché, chissa perché..."

sabato 7 giugno 2008

Guardare oltre, II

[...] Questa società non ha dunque bisogno di maestri. Sono pateticamente inutili. I mezzi attraverso cui si trasmettono conoscenze e si formano coscienze si chiamano maestra-televisione, maestra-pubblicità, maestra-comunicazione, maestra-moda, ecc. Queste sì sono maestre ugualitarie, stanno sul nostro stesso piano, usano il nostro stesso linguaggio, si prestano a essere comprese da tutti senza sforzi, sono adatte alla società dei grandi numeri, sono perciò pienamente democratiche. Che c'è di meglio? [...] E invece no. Le cose non stanno affatto così. Non si tratta di aristocrazia contro democrazia, ma di due concezioni della democrazia, l'una in opposizione all'altra. L'una, la potremmo definire democrazia critica; l'altra, acritica. La democrazia critica pone se stessa sempre necessariamente in discussione, non è mai paga e tronfia, sa riconoscere i suoi limiti e sa correggere i suoi sbagli. È un sistema capace di auto-correzione, in vista di un bene o di una verità non assoluti ma relativi al momento e alle condizioni date e alle capacità ch'esso ha di padroneggiarle. Il suo senso è dato da questa tensione, tra ciò che si è e ciò che, in meglio, si potrebbe essere; il suo ethos, la molla che lo mette in movimento, è l'esigenza di colmare questa distanza. La democrazia critica non assume, come sua massima, il detto vox populi, vox dei, per l'implicita supposizione di infallibilità ch'essa comporta. Considera un cedimento a un'inaccettabile ideologia della democrazia anche l'espressione, spesso ripetuta con leggerezza, secondo cui la maggioranza ha sempre ragione, e ciò non perché la maggioranza abbia presumibilmente torto, come ritiene ogni pensiero antidemocratico ed elitario che divide la società in migliori (i pochi) e peggiori (i tanti), ma perché semplicemente, nella democrazia critica è bandito il concetto stesso di ragione, contrapposto a torto. La maggioranza non ha né ragione né torto; ha invece diritto di decidere perché si ritiene che le decisioni che riguardano tutti siano assunte, se non da tutti, almeno dal maggior numero. È una questione di distribuzione e assunzione di responsabilità, non di ragione o di torto. Questo modo di concepire la democrazia comporta la capacità di estraniarci da noi stessi, di uscire dalla nostra pelle per poterci osservare per quello che siamo e confrontarci con quello che non siamo e vorremmo essere. Essere al tempo stesso soggetto e oggetto, cioè la coscienza di se stessi, è forse ciò che di più difficile possiamo immaginare, nella vita individuale e, a maggior ragione, in quella collettiva. Quando si dice "la lezione dei maestri", si dice innanzitutto distanza tra noi, come soggetti, e noi, come oggetti, cioè coscienza critica. La funzione del maestro, nella democrazia critica, non è un lusso, è una necessità vitale. Tutto il contrario, nella democrazia acritica. Se la maggioranza ha sempre ragione, se la sua volontà è infallibile come quella divina, la voce ammonitrice del maestro è semplicemente un inutile fastidio, come quella del grillo parlante che Pinocchio, che non vuol sentir parola, schiaccia con un colpo di martello. Non c'è bisogno di maestri in questa democrazia, ma di ideologi, di comunicatori, di propagandisti o di pubblicitari, cioè di quelle false maestre (televisione, pubblicità, moda, ecc.) di cui s'è detto. Esse non creano tensione, allontanano da noi l'inquietudine del dubbio, ci fanno credere che ciò che siamo sia anche ciò che non possiamo non essere, che dove siamo non possiamo non essere. Ci fanno stare in pace con noi stessi, perché ci privano della coscienza di noi stessi e ci trasformano da soggetti in oggetti. I maestri non esistono se non ci sono discepoli. Non sono i maestri a creare i discepoli, ma i discepoli a creare i maestri. Quando tra noi, potenziali discepoli, incominciano a porsi domande di senso ed esigenze di ethos, allora possono comparire i maestri. Questo - porre domande inevase e far valere esigenze insoddisfatte - è il compito di chi crede che valga la pena di impegnarsi per una democrazia con gli occhi aperti su se stessa e sul suo futuro, cioè per una forma di convivenza che coltivi l'inquietudine non come un vizio, ma come una virtù. Abbiamo di fronte a noi degrado della vita pubblica, deterioramento della democrazia, inquietudine senza sbocco per l'avvenire e incapacità generalizzata di indicare prospettive diverse dal tirare in qualche modo a campare per allontanare soltanto il momento di una crisi che, non possiamo non saperlo, prima o poi verrà. In quel momento, la presenza o l'assenza di un magistero civile sarà determinante.

Gustavo Zagrebelsky (la Repubblica, 26 maggio 2008)

(...io direi pure: una la possiamo definire democrazia, l'altra no)